Sophia - Jan. 09 '07: La Casa 139, Milan (IT) (Robin solo), with Malcolm Middleton |
Set
list is it any wonder if only swept back where are you now death of a salesman pace oh my love everyday lost big city rot ----------------- I left you (the poppy and happy version) so slow I left you (the normal version) directionless YouTube.com video of 'Swept Back' live at La Casa 139. Review 1 Intanto andare al circolo arci "Casa 139" di Milano è sempre bello (anche se ad onor del vero, vista la consumazione aggiunta, io vieterei i soliti cocktail del cazzo odorosi e dolciastri mi limiterei a birra, spuma e se proprio proprio gin tonic). Ieri sera Malcolm Middleton, ex Arab Strap, presentava il suo nuovo album e Robin Propper Sheppard quello di Sophia "Technology Won't Save Us" (se interessa le prime 3000 copie contengono un bonus CD acustico contenente sei brani). Malcolm piuttosto teso fino a piantare una canzone a metà e scusarsi, poi si scioglie e le ultime due non sono male, ma manca di personalità che invece non difetta al secondo che pure ne combina di ogni: dimentica le parole, si interrompe, sbaglia tonalità... fantastico l'aneddoto su buck rogers: "allora mi sono innamorato e mentre ero nell'intimità con la mia bella mi sono addormento, hey aspetatte prima ho compiuto il mio dovere di uomo, ma poi durante le coccole mi sono assopito e ho sognato buck rogers. lei si è accorta e mi ha svegliato e mi ha chiesto cosa stessi sognando di bello; lì per lì non sapevo se dirlo o no, sai non volevo mi prendesse per un idiota... ma glielo dissi e lei: "ti amo per quello"; uau!! thedude73 Review 2 Quasi tre anni sono occorsi a Robin Proper-Sheppard per portare a termine il quarto lavoro a nome Sophia, 'Technology Won't Save Us'. La leggenda narra che nome dell'album e relativa copertina siano ispirate ad un fatto di cronaca, la morte di due uomini, padre e figlio, sorpresi dal maltempo durante una passeggiata su una spiaggia delle coste della Cumbria, regione inglese a sud-ovest della Scozia. In quella sfortunata circostanza non erano stati sufficienti il contatto telefonico con i soccorritori e i sofisticati mezzi tecnologici degli stessi ad evitare la tragedia. Dense nubi di negatività devono aver assalito il Nostro, tanto che il disco realizzato è da annoverare come il più drammatico e spettrale dei quattro, tanto policromo e variegato negli arrangiamenti quanto invariabilmente cupo e pessimista nei testi. Eppure, il Robin Proper-Sheppard che ci ha accolto in questa insolitamente mite serata invernale milanese alla Casa, non pare che il lontano parente del cantautore serio e introspettivo che possiamo immaginare ascoltando le sue canzoni (impressione, in verità, già avuta in occasione delle passate performance live). Scherzoso e divertente, incline all'interazione col pubblico, ha presentato le nuove canzoni di fronte ad un'audience numerosa (per quanto la location permettesse...) ed entusiasta. Accompagnato soltanto dalla chitarra acustica, Robin riesce a non far rimpiangere l'assenza di una band d'accompagnamento e a far rifulgere le sue canzoni come non mai, caricandole di pathos e di energia davvero non comuni. Episodi tra i quali il nuovo singolo 'Pace', perfetto archetipo di canzone dei Sophia, sempre uguale a se stessa eppure mai stancante, la raccolta ed intimista 'Where Are You Now', la toccante e quasi sussurrata 'Big City Riot' sono esemplari dimostrazioni di un'ispirazione che, a distanza di più di dieci anni dal già illuminato debutto di 'Fixed Water' (senza contare gli illustri trascorsi "sonici" con i God Machine...), non accenna a calare. C'è spazio anche per il repertorio, per la gioia di chi, come il sottoscritto, è costretto a sorprendere se stesso ad intonare 'If Only' ed 'Everyday' (da quel capolavoro di equilibrio che è 'The Infinite Circle') con l'entusiasmo e la partecipazione del fan della prima ora. Lo scarno accompagnamento pare per il Nostro un'opportunità piuttosto che un vincolo: le canzoni vengono ora dilatate ora accorciate, talvolta caricate di enfasi (esemplare a riguardo l'esecuzione di 'Swept Back', molto più del semplice gioiellino pop ascoltabile sui solchi di 'The People Are Like Seasons'), qualche volta alleggerite da introduzioni a dir poco frivole ('I Left You'), il tutto con la maestria e l'esperienza di chi calca i palchi ormai da tanti anni e si diverte ancora come il primo giorno. Sensazione, quest'ultima, che è mancata durante la performance del pur illustre supporter Malcolm Middleton, metà dei disciolti Arab Strap, al quale è forse necessaria ancora una potente iniezione di self-confidence per convincerci (e convincersi...) che non è ancora (utilizzando le illuminanti parole del mio compagno di ascolti e bevute di questa sera) "rassegnato alla sconfitta". Le canzoni di Malcolm non sono niente male, intendiamoci. Ciononostante la sensazione che egli possa dare molto di più per dimostrare la propria ispirazione e bravura è forte, e vedendolo assistere all'esibizione di Robin in mezzo al pubblico a bocca aperta, beh... Crediamo che questa sera abbia avuto un ottima occasione per imparare! Vincenzo Ostuni Review 3 Tutte le volte che mi reco ad un concerto di Robin Proper Sheppard, alias Sophia, i miei ricordi vanno a quel 1992 credo, quando poco più che ventenne mi recai al Bloom di Mezzago per ascoltare il mio gruppo più amato di allora (amore inossidabile nel tempo..): i God Machine. Purtroppo le cagionevoli condizioni di salute del bassista della band Jimmi Ferdandez, o altri motivi indipendenti da lui fecero sì che quel concerto così da me tanto atteso andò in fumo e nel mio cuoricino rimase la speranza che forse un giorno o l’altro gli avrei ascoltai dal vivo. Il gruppo a breve si sciolse per la prematura scomparsa di J.Fernandez ed io non ebbi più occasione di ascoltarli dal vivo… Ecco perché forse tutte le volte che si avvicina un concerto dei Sophia sono emozionato più che in altre circostanze: è come se rinnovassi il pensiero di quella speranza che fu e mi crogiolo nei miei pensieri immaginando le emozioni che avrei vissuto. Torniamo a noi ed a ieri sera. Siamo in quattro: Anna,Nicola e Andrea ed io. Siamo a sud di Milano, in via Ripamonti, nell’ attesa che il portone della casa139 (così si chiama il locale) si apra e ci faccia entrare. Stazioniamo sull’uscio d’ingresso insieme ad altre due o tre coppie e da lontano sul marciapiede arriva camminado lento, Robin che affabile e sorridente come al solito, ci saluta nel suo cappotto scuro ed entra dal portone seguito da una ragazza che come noi aspettava fuori, e che ad un suo cenno l’ha seguito. Scopriremo poi, a metà concerto, l’identità della ragazza che Robin ci ha presentato dal palco come la sua fan numero uno in Italia sempre presente ai suoi concerti. Dopo una breve attesa, verso le nove e mezza varchiamo la soglia del portone ed entriamo in quello che era una volta un appartamento, ora divenuto circolo culturale (www.lacasa139.com/) e facciamo un po’ di “anticamera” nella zona riservata al bar tra una birra ed una chiacchiera, nell’attesa che preparino il palco e tolgano il cordone che impedisce l’accesso alla scala a chiocciola. Io come al solito scalpito e per ingannare l’attesa mi guardo in giro goloso di tutte quelle nuove facce sconosciute che entrano nella sala alla ricerca di qualche volto noto o semplicemente di qualche curiosità. Finalmente si sale; la stanza che ci accoglie è come immaginavo: di modeste proporzioni, con la luce soffusa, un mixer in fondo alla sala ed un piccolo palco sul quale campeggia una chitarra acustica, uno sgabello scalchignato, due casse ed un pianoforte appoggiato al muro. Prendiamo posto subito nelle prime file e ci accomodiamo seduti sul pavimento di parquet e tutto sembra così famigliare che mi sembra d’essere nel mio soggiorno. Saremo si e no duecento, duecentocinquanta anime.. Anime fortunate dico io.. “Magnifico esattamente quello che mi aspettavo e che speravo si verificasse…” penso io e mi chiedo come mai di locali così, dalle mie parti non ne esistano…Domande vaghe che non hanno una risposta… Il concerto è aperto da Malcom Middleton ex Arab Strap sul quale non mi dilungherò perché non conosco approfonditamente nè il gruppo e tanto meno il personaggio e poi perché mi sembra di essere già stato prolisso. Sinteticamente: concerto assolutamente gradevole, anteprima dell’album solista che uscirà a breve, che si è dipanato tra una manciata di canzoni acustiche malinconiche e facilmente orecchiabili per un cantante molto tranquillo ed introverso così tipicamente scozzese nei suoi capelli e nella sua barba di colore rossiccio. ( non me ne vogliano i suoi fans ma per scrivere qualcosa di decente sarebbe bene conoscere almeno qualche canzone o essere quanto meno più introdotti all’argomento..) Robin sale sul palco dopo circa dieci minuti, ci saluta con fare gioviale e si dirige verso il pianoforte; apre il copri tasti e suona due note basse con enfasi, come se fosse un navigato pianista, e poi scherzosamente si dirige verso il microfono per raccogliere il plauso per la sua breve composizione…Bene se questo significa rompere il ghiaccio, Robin lo ha fatto magnificamente; prende posto sullo sgabello, togliendosi dalla luce diretta di un faretto, imbraccia la chitarra e comincia con “is it any wonder”, così come nel 1996 aprì il suo primo album con i Sophia. Il suono è dolcissimo appena accennato e le note si susseguono come fossero di velluto e la voce ci sussurra parole dolci, “..love has no meaning..” scivolando tra i semplici accordi della chitarra e poi ancora “if only” dal secondo album, così malinconica e Robin la canta con gli occhi chiusi e poi “oh my love” dal fortunato album “people are like season” che diventa incandescente in alcuni passaggi dove il plettro dolcemente violenta le corde della chitarra facendole vibrare in un suono che si fa pieno e corposo. Le canzoni si susseguono tra qualche novità tratta dall’album appena uscito “tecnology won’t save us” ed alcune gemme tratte dai dischi precedenti tra cui ricordo “directionless” e “the death of a salesman” assolutamente toccanti e la bellissima “swept back” iniziata e poi ripresa successivamente perché Robin non trovava la tonalità. D’altronde dice lui se dovessi intonarla come una canzonetta pop sarebbe facile…e l’accenna con un tono decisamente meno melodrammatico, per poi invece eseguirla correttamente creando un’atmosfera unica. E noi tutti ad ascoltare in silenzio, con le gambe incrociate e la testa piegata all’insù. Non sono mancati momenti esilaranti in cui si è dimenticato le strofe delle canzoni interrompendosi di colpo ed accusando noi di averlo portato fuori strada canticchiando la strofa successiva oppure quando ha accennato ad un sogno che aveva fatto e durante la spiegazione tutti ridevano…ops mi correggo quasi tutti ridevano, per esempio il sottoscritto non rideva o al massimo accennava un sorriso di circostanza vista la non completa padronanza dell’inglese!! Un concerto che non ha tradito le attese di noi fortunati intervenuti: canzoni dolcissime cantate e suonate con il cuore da un artista che contrariamente al mood delle sue canzoni si è dimostrato allegro, ci ha confidato di essere innamorato…, giocherellone e socievole con noi pubblico con il quale si è intrattenuto anche dopo il concerto per firmare autografi, autografare ciddì e scambiare quattro parole. Un uomo semplice, sincero, affabile e maledettamente innamorato della vita nonostante le sue vicissitudini personali credo lo abbiano segnato nel profondo; è così che vedo Robin Proper Sheppard, alias Sophia, alias God Machine. Indimenticabili. A marzo ritornerà in Italia con la band al completo e vi consiglio calorosamente di non lasciarvelo sfuggire. Io ci sarò. Tia, debaser.it Review 4 Quando sei solo con la tua chitarra acustica in un piccolo spazio, senza sezione ritmica, tastiere e campionatori, ammennicoli vari; soltanto tu e il tuo strumento, uno sgabello e un paio di spot che ti rendono visibile a qualche decina di persone stipate in un ambiente intimo e poco illuminato, non puoi barare. Perché sei al “grado zero” del tuo linguaggio musicale, e sono le tue canzoni, ed esse soltanto, a parlare per te, e in una circostanza come questa la tua musica, la tua emotività e la tua espressività convergono perfettamente in un unico “luogo geometrico” situato nell’anima di chi ti ascolta. E in una situazione del genere la verità sul tuo valore artistico si disvela appieno, ed è facile fare confronti, e le differenze emergono tutte, nettamente, impietosamente anche. Ogni forma d’arte, dalla più elevata alla più prettamente “pop”, ha le sue gerarchie, inesorabili, nitide; sempre è stato così. Si può certamente discutere sulle sfumature soggettive, ma non confutare questo principio, anche se non tutti sono in grado di riconoscerlo. Martedì sera se ne è avuta un` ennesima riprova in occasione del doppio showcase acustico tenutosi a La Casa 139, con Malcom Middleton (fresco ex Arab Strap) a preparare il terreno per Robin Proper-Sheppard (aka Sophia, e indimenticato leader dei leggendari God Machine), o per meglio dire a subire l’onere del confronto con il più fascinoso, carismatico e ispirato collega, autore di altro spessore e rango, sotto ogni aspetto. Sguardo cupo e mood introverso nonostante l’aspetto pacioso e tranquillo da “next door boy”, un occhio costantemente all’orologio e l’altro a non sbagliare accordi, il set di Middleton scorre senza speciali sussulti, piacevole ma troppo omogeneo, senza mai quel cambio di marcia, quello scarto nella scrittura, quel ritornello che ti si attacca addosso, quel brivido inaspettato, che da sempre caratterizzano il songwriter di razza. Com’era lecito attendersi, si tratta di una sorta di riduzione “unplugged” degli Arab Strap, agrodolce, crepuscolare, lievemente tediosa, sottilmente soporifera. Ci si lascia cullare senza opporre resistenza, portati da una quieta risacca, i sensi leggermente intorpiditi, il cuore che non manca un battito e resta saldo al suo posto, senza mai tentare di salire più in alto. Il repertorio è attinto dal nuovo album solista “A Brighter Beat”, che sarà disponibile a febbraio, con qualche incursione nell’esordio solista (“Into The Woods”) del 2005, ma le differenze nella scrittura, se ve ne sono, restano impercettibili, complice anche la situazione acustica che riduce tutto a una multipla variazione su una medesima struttura slow-tempo. L’atmosfera muta completamente all’ingresso di Robin Proper-Sheppard; sin dal suo apparire tutti intuiscono (alcuni sanno) che altro si prepara. Alle prime note di “Is It Any Wonder” già si entra in tutt`altra dimensione emotiva; occhi socchiusi, voce che con gli anni è diventata più calda e avvolgente, Robin è esattamente come chi conosce la sua musica si attende che sia: coniuga pathos ed energia, rabbia e disperazione, un’ironia beffarda ai limiti dell’antipatia e inusitate aperture alla confessione e alla messa a nudo di sé. Dipana una matassa musicale di pregiata fattura, in cui il suono acustico ha una ricchezza di modi e tonalità sempre cangianti e imprevedibili. Passaggi di sottile malinconia e accordi diradati si alternano a momenti di energia pura, in cui la mano destra fa scaturire un suono potente e magmatico, iterativo e via via crescente nella sua urgenza catartica, lasciando immaginare per qualche istante, con un brivido, cosa avrebbe potuto essere assistere a un concerto dei God Machine. Di altissimo livello la scaletta prescelta, tra cui si staccano l’ariosa “I Left You”, una ipnotica e bellissima “Oh My Love”, “I`d Rather” e la nervosa “Swept Back”, la sempre straordinaria “So Slow”, con quel ritornello che accarezza e con delicatezza e dolcezza pur parlando di morte (“but death comes so slow / when you`re waiting / when you`re waiting to be taken / death comes so slow / when it`s all you want / and it takes the ones that don`t”). Una performance convincente quindi, intensa, autentica; una musica che evoca ricordi, smuove sensazioni, riporta alla superficie antiche ferite, ma nei momenti migliori appronta anche il balsamo per lenirne il dolore. Quando sei solo con la tua chitarra acustica è come quando sei innamorato: non puoi barare. Tra una canzone e l’altra Robin Proper-Sheppard ci ha confessato di essere innamorato in questo momento: doppiamente sincero quindi, e gran parte dell’audience lo ha percepito. Attendiamo ora il tour del prossimo aprile con la band al completo; ma sento già crescere in me la sensazione che non sarà la stessa cosa. Che sia perché martedì sera era molto innamorato anch’io? Nicola Tedeschi, www.kronic.it Poster by Malleus Rock Art Lab Photos by Clara Photos by Tania Tampieri Photos by Lorenzo De Simone Photos by Luca Valzania Photos by Paso |